Micropermanenti: la Cassazione spiega quando sono risarcibili

(Ord. 26249/19)

Risulta fondamentale e decisivo il ruolo del medico legale

La legge definisce “danno biologico” soltanto quello “suscettibile di accertamento medico legale”.

Definire la categoria del danno biologico come quello “suscettibile di accertamento medico legale” vuol dire che per predicarsi l’esistenza stessa (e non la mera risarcibilità) di tale pregiudizio occorre che esso sia dimostrabile non già sulla base di mere intuizioni, illazioni o suggestioni, ma sulla base di una corretta criteriologia accertativa medico-legale.

Ma la corretta criteriologia accertativa medico-legale non si limita ovviamente a considerare solo la storia clinica documentata della vittima. Essa ricorre altresì all’analisi della vis lesiva, all’analisi della sintomatologia, all’esame obiettivo, alla statistica clinica.

Un corretto accertamento medico-legale, pertanto, potrebbe pervenire a negare l’esistenza d’un danno permanente alla salute (o della sua derivazione causale dal fatto illecito) anche in presenza di esami strumentali dall’esito positivo; così come, all’opposto, ben potrebbe pervenire ad ammettere l’esistenza d’un danno permanente alla salute anche in assenza di esami strumentali, quando ricorrano indizi gravi, precisi e concordanti dell’esistenza del danno e della sua genesi causale.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Ordinanza 16 ottobre 2019, n. 26249

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere -ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24994/2017 proposto da:

(omissis)

Svolgimento del processo

1.In data non precisata nel ricorso, nè nella sentenza impugnata, M.L. convenne dinanzi al Giudice di Pace di Afragola S.C. e la società Generali Italia s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un sinistro stradale occorsogli mentre era trasportato su un veicolo di proprietà e condotto dal convenuto, ed assicurato contro i rischi della responsabilità civile dalla Generali.

L’attore allegò che il sinistro si era verificato a causa di un urto, inferto a tergo al veicolo sul quale era trasportato, da parte di un altro mezzo non potuto identificare, perchè allontanatosi repentinamente dopo il fatto.

2.Nel corso del giudizio di primo grado il Giudice di pace autorizzò la chiamata in causa della società Generali (che già era parte in causa, nella veste di assicuratore del convenuto) nella veste di impresa regionalmente designata dal Fondo di garanzia vittime della strada.

3.Con sentenza 31.10.2013 n. 1493 il Giudice di pace accolse la domanda, ma ritenne che il danno patito dall’attore fosse consistito unicamente in due giorni di invalidità temporanea, pregiudizio che liquidò nella somma di 100 Euro.

La sentenza venne appellata dal soccombente.

4.Il Tribunale di Napoli Nord, con sentenza 6 marzo 2017 n. 654, rigettò il gravame.Ti Tribunale osservò che era impossibile liquidare il danno lamentato dall’attore, poichè le lesioni che questi dichiarava di avere sofferto “non erano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo”, ai sensi del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 32, comma 3 quater (convertito dalla L. 24 marzo 2012, n. 27).

5.La sentenza è stata impugnata per cassazione da M.L. con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria.Ha resistito con controricorso la Generali Italia s.p.a..

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, invocando il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 32 Cost. e artt. 2043 c.c..

Nella illustrazione del motivo il ricorrente sostiene – questo il nucleo della censura – che il Tribunale avrebbe deciso la causa sottopostagli applicando norme costituzionalmente illegittime, e cioè il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 32, commi 3 ter e 3 quater.

Tali norme, infatti – nella lettura che ne dà il ricorrente – impedirebbero il risarcimento del danno permanente alla salute causato da sinistri stradali, se di lieve entità e non suscettibili di “accertamento clinico strumentale obiettivo”.

Osserva il ricorrente che tali previsioni violano l’art. 32 Cost., in quanto sacrificano in modo ingiustificato il diritto alla salute delle vittime di sinistri stradali; impediscono il risarcimento dei numerosi pregiudizi permanenti non strumentalmente riscontrabili; creano ingiustificate disparità di trattamento nell’ipotesi in cui la vittima decidesse di domandare il risarcimento solo al responsabile civile, e non anche al suo assicuratore (nel qual caso, secondo la prospettazione del ricorrente, non opererebbe la limitazione introdotta dal D.L. n. 1 del 2012, art. 32).

Il ricorrente si mostra consapevole del fatto che la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 1 del 2012, art. 32, commi 3 ter e 3 quater, è già stata dichiarata manifestamente infondata da Corte Cost. (ord.) 96.11.2015 n. 242, ma sollecita questa Corte a sollevare nuovamente un incidente di costituzionalità, evidenziando varie criticità di tale decisione della Consulta.

Deduce che la Corte costituzionale ha reputato non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 1 del 2012, art. 32, commi 3 ter e 3 quater, limitandosi a richiamare sic et simpliciter un proprio precedente (la sentenza 16.10.2014 n. 235), la quale tuttavia non aveva affatto ad oggetto la norma in questione, e conteneva solo un fugace ed irrilevante obiter dictum concernente il D.L. n. 1 del 2012, art. 32, comma 3 ter. Sostiene il ricorrente che la Corte costituzionale, pertanto, nel provvedimento più recente avrebbe ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 1 del 2012, art. 32, commi 3 ter e 3 quater, in modo sostanzialmente evasivo ed immotivato, e che pertanto il precedente costituito da Corte Cost. 242/15 non solo non impedisce, ma anzi imporrebbe, di riproporre tale questione.

1.2. Il motivo è tanto inammissibile, quanto infondato.

1.3. Il motivo è, in primo luogo, inammissibile, perchè prescinde dall’effettivo contenuto e dall’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.

Il Tribunale di Napoli Nord, infatti, non ha rigettato la domanda ritenendo che l’appellante un danno alla salute l’avesse patito, ma che tale danno non fosse risarcibile perchè non attestato da alcun esame strumentale.

La sentenza ha, invece, rigettato la domanda perchè ha ritenuto che un danno permanente alla salute non sussistesse affatto.

Questa è l’unica interpretazione consentita dalla sintassi adottata dal Tribunale.

Ha affermato, infatti, il Tribunale, di volere condividere l’opinione del consulente tecnico (nominato dal Giudice di pace), secondo cui era “impossibile” determinare l’esistenza di postumi permanenti.

A fronte di questa affermazione, il richiamo compiuto dal Tribunale al D.L. n. 1 del 2012, art. 32, comma 3 quater, appare ultroneo ed irrilevante nella motivazione della sentenza impugnata.

Infatti un danno di cui sia impossibile stabilire non già il suo esatto ammontare, ma la sua stessa esistenza, è per ciò solo un danno irrisarcibile. Rectius, non è nemmeno un danno in senso giuridico.

1.4. Ritiene il Collegio di aggiungere, ad abundantiam, che in ogni caso il D.L. n. 1 del 2012, art. 32, comma 3 ter (così come l’ormai abrogato comma 3 quater della medesima norma) non presenta profili di illegittimità costituzionale; e quand’anche li presentasse, ne sarebbe comunque possibile una interpretazione coerente col dettato costituzionale, senza forzarne la lettera, come già ripetutamente affermato da questa Corte (Sez. 3 – Sentenza n. 18773 del 26/09/2016, Rv. 642106 – 02; Sez. 3, Sentenza n. 1272 del 19/01/2018, Rv. 647581 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 5820 del 28/02/2019, Rv. 652843 – 01).

1.5. Nelle decisioni appena ricordate questa Corte ha stabilito che l’art. 32, comma 3 ter e (finchè sia stato applicabile) D.L. n. 1 del 2012, comma 3 quater, non è nè una norma che pone limiti ai mezzi di prova (essa non impedisce, dunque, di dimostrare l’esistenza d’un danno alla salute con fonti di prova diversi dai referti di esami strumentali); nè una norma che pone limiti alla risarcibilità del danno (essa non impone, dunque, di lasciare senza ristoro i danni che non attingessero una soglia minima di gravità).

L’art. 32 D.L. cit. è semplicemente una norma che ribadisce un principio già insito nel sistema, e cioè che il risarcimento di qualsiasi danno (e non solo di quello alla salute) presuppone che chi lo invochi ne dia una dimostrazione ragionevole; e che per contro non è nemmeno pensabile che possa pretendersi il risarcimento di danni semplicemente ipotizzati, temuti, eventuali, supposti, possibili ma non probabili.

Questa conclusione è imposta dall’interpretazione letterale e da quella finalistica.

1.5.1. Dal punto di vista letterale, la legge definisce “danno biologico” soltanto quello “suscettibile di accertamento medico legale” (così il D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, artt. 138 e 139, ma anche il D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, nonchè, in precedenza, L. 5 marzo 2001, n. 57, abrogato art. 5).

“Accertare” è verbo deriva etimologicamente dal latino medioevale accertare, deverbativo di certus: esso esprime il concetto di “certificare”, cioè rendere sicuro, riconoscere per vero, verificare.

Definire pertanto la categoria del danno biologico come quello “suscettibile di accertamento medico legale” vuol dire che per predicarsi l’esistenza stessa (e non la mera risarcibilità) di tale pregiudizio occorre che esso sia dimostrabile non già sulla base di mere intuizioni, illazioni o suggestioni, ma sulla base di una corretta criteriologia accertativa medico-legale.

Ma la corretta criteriologia accertativa medico-legale non si limita ovviamente a considerare solo la storia clinica documentata della vittima. Essa ricorre altresì all’analisi della vis lesiva, all’analisi della sintomatologia, all’esame obiettivo, alla statistica clinica.

Un corretto accertamento medico-legale, pertanto, potrebbe pervenire a negare l’esistenza d’un danno permanente alla salute (o della sua derivazione causale dal fatto illecito) anche in presenza di esami strumentali dall’esito positivo; così come, all’opposto, ben potrebbe pervenire ad ammettere l’esistenza d’un danno permanente alla salute anche in assenza di esami strumentali, quando ricorrano indizi gravi, precisi e concordanti dell’esistenza del danno e della sua genesi causale.

1.5.2. Dal punto di vista finalistico, v’è poi da rilevare che il D.L. n. 1 del 2012, è stato adottato al dichiarato di scopo di rilanciare l’economia, favorire la concorrenza, incentivare sia i consumi che il risparmio (così la relazione illustrativa).

In quest’ottica, il legislatore ritenne imprescindibile il contrasto delle truffe assicurative, e massimamente di quelle legate alla sinistrosità stradale, al fine di ridurre i costi degli indennizzi e, di conseguenza, favorire l’abbassamento dei premi (un chiaro indice di questo intento è dato proprio dal D.L. n. 1 del 2012, successivo art. 33, che ha inasprito le sanzioni per le false attestazioni di invalidità derivanti dai sinistri stradali).

Se dunque scopo del D.L. n. 1 del 2012, fu (anche) quello di favorire l’abbassamento dei premi assicurativi nel settore dell’assicurazione r.c. auto, è coerente con tale fine interpretare l’art. 32 D.L. cit., nel senso che esso abbia inteso contrastare non solo le truffe assicurative, ma anche la semplice negligenza colposa, la benevola tolleranza o il superficiale lassismo nell’accertamento dei microdanni. Anche tali condotte, infatti, a livello macroeconomico non sono meno perniciose delle truffe assicurative, dal momento che identico ne è l’effetto, e fors’anche maggiore, ove si ammetta che il numero degli inetti ecceda quello dei disonesti.

1.6. Alla luce dei rilievi che precedono deve darsi in questa sede continuità ai precedenti di questa Corte sopra ricordati, ribadendo che:

(a) l’art. 32 D.L. cit., non è una norma di tipo precettivo, ma una di quelle norme che la dottrina definisce “norme in senso lato” (cioè prive di comandi o divieti, ma funzionalmente connesse a comandi o divieti contenuti in altre norme);

(b) tale norma va intesa nel senso che l’accertamento del danno alla persona non può che avvenire coi criteri medico-legali fissati da una secolare tradizione: e dunque l’esame obiettivo (criterio visivo); l’esame clinico; gli esami strumentali;

(c) tali criteri sono fungibili ed alternativi tra loro, e non già cumulativi. Il D.L. n. 1 del 2012, art. 32, commi 3 ter e 3 quater, in definitiva, non fa altro che ribadire un principio immanente nell’ordinamento: quello secondo cui l’accertamento dei microdanni alla salute causati da sinistri stradali debba avvenire con l’applicazione rigorosa dei criteri insegnati dalla medicina legale, rifuggendo tanto dalle appercezioni intuitive del medico-legale, quanto dalle mere dichiarazioni soggettive della vittima.

La disposizione citata, pertanto, non contrasta affatto con l’art. 32 Cost., perchè non limita la risarcibilità del danno alla salute, nè pone limiti alla prova di esso. La disposizione in esame si limita a richiamare il rispetto dei propri doveri di zelo solerte da parte di quanti (medici legali di parte e d’ufficio, avvocati, magistrati) siano chiamati a stimare e liquidare il danno alla salute.

1.7. Tornando dunque all’esame del caso di specie, dai principi sin qui esposti discende che delle due l’una:

(a) se si interpretasse la sentenza nel senso che il Tribunale ha rigettato la domanda per avere ritenuto “impossibile” l’accertamento in corpore dell’effettiva sussistenza di danni alla salute patiti da M.L., il primo motivo di ricorso è inammissibile perchè denuncia di illegittimità costituzionale una norma della quale il Tribunale non doveva fare applicazione, giacchè qualunque danno è irrisarcibile, se sia impossibile dimostrarne l’esistenza;

(b) se si interpretasse la sentenza nel senso che il Tribunale ha rigettato la domanda per avere ritenuto sussistente il danno, ma irrisarcibile a causa della mancanza di esami strumentali, il motivo sarebbe del pari inammissibile, poichè, per quanto detto, la lettera e la ratio del D.L. n. 1 del 2012, art. 32, non impongono affatto tale interpretazione. Il vizio, dunque, starebbe in tal caso nella decisione d’appello e non nella incostituzionalità della norma applicata. Vizio che tuttavia, per quanto si dirà nel successivo, non è stato in questa sede validamente censurato.

2.Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta sia il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5; sia quello di violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 (assume violati, da parte del Tribunale, gli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.).

Il motivo, pur formalmente unitario, contiene plurime censure che possono così riassumersi:

a) il Tribunale ha rigettato la domanda facendo applicazione del D.L. n. 1 del 2012, art. 32, comma 3 quater; tale norma esclude la risarcibilità del danno alla salute non suscettibile di accertamento clinico strumentale obiettivo; nella specie, tuttavia, esisteva un esame radiografico, che costituiva riscontro obiettivo delle lesioni patite dall’attore;

b) il consulente tecnico d’ufficio nominato dal Giudice di pace aveva accertato che l’attore lamentava lieve algia al collo; che tali postumi erano congrui con le modalità di produzione dell’evento traumatico riferito dall’attore; che l’evoluzione di tale lesioni aveva “fatto sì che si instaurasse quella modificazione peggiorativa dello stato anteriore a carattere dinamico, che ha limitato la vita organica e di relazione del soggetto”; il consulente d’ufficio, pertanto, non aveva affatto affermato – al contrario di quanto sostenuto dal Tribunale – “l’impossibilità da parte del CTU di determinare il danno biologico permanente”;

c) il Tribunale non aveva affatto motivato la propria decisione, non aveva preso in esame le argomentate deduzioni svolte dall’attuale ricorrente nella comparsa conclusionale in grado di appello, relative alla esistenza in atti di un esame radiografico che documentava strumentalmente l’esistenza delle lesioni.

2.2. Tutte le suddette censure sono inammissibili od infondate, e lo sono per plurime ed indipendenti ragioni.

2.3. In primo luogo, esse sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Il ricorrente, infatti, fonda le sue censure sui contenuti della consulenza tecnica d’ufficio disposta nel primo grado del giudizio, ma nè ha allegato tale documento al proprio ricorso, ai sensi del citato art. 366 c.p.c., n. 6; nè ha mai dichiarato – come pure gli sarebbe stato possibile – di volersi avvalere della facoltà di assolvere all’onere di allegazione assumendo che tale relazione, allegata al fascicolo di primo grado, era confluita in quello d’appello, del quale era stata ritualmente chiesta la trasmissione a questa Corte (in tal senso, si veda la nota decisione di Sez. U, Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317 – 01).

2.4. Nella parte in cui lamenta l’omesso esame d’un fatto decisivo, il motivo è del pari inammissibile, e per due ragioni.

La prima ragione è che, essendovi state due decisioni conformi nei gradi di merito, non è consentito in questa sede invocare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, giusta la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5.

Tale norma, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134), giusta la previsione dell’art. 54, comma 2, del D.L. citato, si applica ai ricorsi avverso sentenze pronunciate all’esito di giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11 settembre 2012 (così già Sez. 5 -, Ordinanza n. 11439 del 11/05/2018, Rv. 648075 – 01): e nel caso di specie il giudizio di appello è iniziato nel 2014, dunque molto dopo l’introduzione della novella codicistica suddetta.

La seconda ragione di inammissibilità della doglianza fondata sull’omesso esame del fatto decisivo è che il ricorrente si duole in realtà, col suo secondo motivo di ricorso, non dell’esame d’un “fatto” (vale a dire d’un circostanza costitutiva del diritto o dell’eccezione), ma d’una prova, cioè d’un esame radiografico.

Ma le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che “l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

2.5. In ogni caso:

(a) lo stabilire se una persona abbia o non abbia patito postumi permanenti non è una questione di diritto, ma è l’accertamento di un fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità;

(b) la motivazione della sentenza impugnata non può dirsi omessa, avendo il tribunale affermato essere “impossibile” accertare l’esistenza di un danno permanente, e costituendo tale affermazione una motivazione chiara ed inequivoca.

3.Le spese.

3.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna M.L. alla rifusione in favore di Generali Italia s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 1.615, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di M.L. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 16 maggio 2019.Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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