Iva va liquidata anche se la riparazione non è ancora avvenuta

(Cass., ord. 21739/19)

Il principio enunciato dalla Corte

Gli Ermellini, affermano ancora una volta (cfr. Cass. n. 10023/1997; Cass. n. 1688/2010; Cass. n. 14535/2013) che il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e conseguenziali. Ne deriva che se esso è liquidato in base alle spese da affrontare per la riparazione, il risarcimento deve comprende anche l’IVA, pur se la riparazione non è ancora avvenuta, a meno che il danneggiato, per l’attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell’IVA versata.

Considerazione

Peccato solo che la maggior parte dei nostri Giudici di merito disattendano sistematicamente questo insegnamento e che, pertanto, anche per poche centinaia di euro che il nostro assistito ha diritto a vedersi riconosciuti, si sia costretti ad andare in appello.

L’ORDINANZA

(omissis)

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. F.B., quale titolare della ditta individuale omonima, chiedeva ed otteneva dal Presidente del Tribunale di Reggio Emilia un decreto ingiuntivo nei confronti di B.E. per Lire 20.815.565 quale saldo del corrispettivo del contratto di appalto del 15 maggio 1988 per la realizzazione di una piscina in cemento armato, oltre impianti ed accessori.

Si opponeva il committente e deduceva che in realtà le parti si erano accordate per la realizzazione di una piscina di dimensioni inferiori rispetto a quelle indicate in contratto, dovendosi quindi pervenire alla riduzione del corrispettivo. Inoltre parte dei materiali forniti non corrispondevano a quelli previsti, mentre alcune opere non erano state proprio messe in opera dall’appaltatore. Infine, successivamente alla conclusione del contratto, le parti avevano concordato una riduzione del prezzo.

In via riconvenzionale chiedeva altresì la condanna del F. al risarcimento dei danni per i vizi ed i difetti dell’opera.

Il Tribunale di Reggio Emilia con sentenza dell’11 gennaio 2001 revocava il decreto ingiuntivo, e previo accertamento dei vizi e delle opere non eseguite dal creditore, riduceva la pretesa di quest’ultimo alla somma di Euro 1.007,65.

La Corte d’Appello di Bologna, a seguito di gravame del F., con la sentenza n. 581/2015 accogleva parzialmente l’appello, e condannava il committente al pagamento della somma di Euro 3.101,83 oltre interessi legali dalla domanda al saldo, compensando tra le parti le spese del doppio grado per la misura di due terzi, e ponendo la residua parte a carico del B..

I giudici di appello rilevavano che il contratto prevedeva un’indicazione del prezzo, stampigliata a macchina, per un importo di Lire 41.700.00.0, esclusa IVA, ma successivamente, si rinveniva, con scrittura a mano, la diversa indicazione della somma di Lire 42.000.000 iva compresa.

In mancanza della proposizione della querela di falso, in ordine all’aggiunta redatta a mano, doveva quindi reputarsi che il corrispettivo del contratto concluso fosse quello riportato a mano di L.. 42.000.000 comprensivo anche di IVA. Quanto alla contestazione concernente le dimensioni della piscina, la sentenza d’appello rilevava che dalla documentazione in atti e dalle testimonianze assunte doveva reputarsi che le parti si fossero accordate per la costruzione di una piscina avente appunto le dimensioni poi realizzate.

In questa direzione deponeva la circostanza che il progetto depositato in Comune per le relative autorizzazioni prima della conclusione del contratto, era conforme a quanto costruito, dovendo al riguardo farsi richiamo alle conclusioni del CTU. Inoltre anche i testi avevano riferito che il B. aveva chiesto la realizzazione di una piscina avente le dimensioni poi attuate. Quanto all’individuazione del credito residuo, occorreva detrarre dal corrispettivo come sopra determinato, l’importo degli acconti pari ad Euro 14.667,38, nonchè la somma necessaria per eliminare i vizi ed i difetti, determinata nell’importo di Euro 4.382,00.

Quanto invece alle detrazioni richieste dal committente per i costi direttamente sopportati per opere comprese in contratto ma non realizzate dall’impresa, e per un importo di Euro 1.626,74, la sentenza osservava che tali somme erano già state conteggiate dal F. al momento della richiesta del decreto ingiuntivo.

Ancora, non potevano essere riconosciuti gli ulteriori danni asseritamente accertati dal CTU, atteso che si trattava del normale deperimento dovuto all’uso ed al tempo di componenti originariamente forniti dall’appaltatore.

Infine non andava assecondata la richiesta di sostituzione del trampolino e delle elettropompe dosatrici e del tubo galleggiante, in quanto i materiali forniti, ancorchè diversi da quelli indicati in contratto, erano da reputarsi di qualità equivalente ed inidonei a determinare alcun pregiudizio al committente.

Per l’effetto veniva riconosciuta all’appellante la somma di Euro 3.101,83.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso B.E. sulla base di quattro motivi, cui resiste con controricorso F.B..

2. Il primo motivo di, ricorso denuncia il vizio della sentenza impugnata per motivazione apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile in ordine alla mancata detrazione dei costi direttamente sopportati dal committente per opere comprese nel contratto ma non realizzate dall’appaltatore, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si rileva che la sentenza impugnata, dopo avere individuato il corrispettivo del contratto di appalto nella somma di L.. 42.000.000 comprensiva di Iva, aveva detratto da tale importo sia gli acconti documentati sia le somme dovute a titolo di ristoro dei danni da vizi e difetti dell’opus appaltato.

Tuttavia, nell’esaminare l’ulteriore doglianza dell’opponente, relativa alla mancata fornitura di alcune delle opere commissionate, e che erano state invece direttamente eseguite dal committente, ha escluso che si potesse tenere conto del relativo importo (Euro 1626,74) in quanto tali somme erano già state conteggiate dal F. al momento della richiesta del decreto ingiuntivo.

Si sottolinea, che però in tal modo la detrazione, non è stata effettuata sul capitale corrispondente all’importo del corrispettivo del contratto di appalto, valutando decisiva la detrazione che però era stata effettuata dall’appaltatore sulla diversa somma richiesta in sede monitoria.

In subordine si rileva che, anche a voler seguire il ragionamento dei giudici di appello, in realtà il F. aveva detratto solo parte delle opere eseguite in proprio dal B., e per un importo nettamente inferiore a quanto invece dovuto.

Il motivo è fondato.

Al riguardo deve ricordarsi che ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dalla L. n. 134 del 2012, il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata così sostituita la precedente formulazione (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio). La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U.. 8053/2014). Pertanto, non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorietà delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio è deducibile quale violazione della legge processuale ex art. 132 c.p.c.).

Orbene, reputa il Collegio che nella fattispecie sia riscontrabile proprio l’anomalia motivazione suscettibile di denuncia in sede di legittimità anche a seguito della ricordata novella.

La Corte d’Appello, al fine di accertare se e quale fosse il credito residuo dell’appaltatore, nella motivazione ha preso le mosse dall’assunto secondo cui occorreva partire dal corrispettivo dell’appalto come fissato in contratto (pari a L.. 42.000.000 comprensivi di IVA), detraendo da tale importo, dapprima gli acconti versati dal ricorrente e successivamente le somme riconosciute a titolo di ristoro dei danni derivanti da vizi e difetti dell’opus.

Ha poi ritenuto che, in relazione alle somme richieste dal B. per costi sostenuti in proprio al fine di supplire alle omissioni dell’appaltatore, e per un importo di Euro 1.626,74, le somme in oggetto fossero già state detratte dal F. al momento della richiesta del decreto ingiuntivo, sicchè non potevano essere prese nuovamente in esame.

In tal modo ha operato un evidente errore di carattere logico, tale da trasmodare in un’insanabile contraddittorietà delle argomentazioni a supporto della motivazione, in quanto la consequenziale operazione imposta dalla premessa metodologica seguita nell’operazione di rideterminazione delle ragioni di dare ed avere dalle parti, imponeva di detrarre. la somma de qua, in quanto ritenuta corrispondente ad una ragione di credito del committente, dall’importo individuato come corrispondente al prezzo complessivo dell’appalto, posto che, essendo anche intervenuta la revoca del decreto opposto, ed essendosi posta la necessità di tenere conto anche delle somme dovute a titolo di risarcimento danni, il quantum oggetto della domanda monitoria, era stato nei fatti ritenuto non attendibile.

Anche a voler soprassedere circa l’evidenziata differenza tra la somma che il B. ritiene essergli dovuta per tale causale, rispetto a quella invece detratta in sede di richiesta monitoria dal F., risulta privo di qualsiasi logica, anche solo di carattere aritmetico, l’iter motivazionale della Corte distrettuale, che avendo ritenuto necessario ricalcolare l’eventuale saldo dovuto all’appaltatore partendo dal prezzo fissato in contratto, avrebbe dovuto detrarre tutte le contrapposte ragioni di credito del committente dal corrispettivo contrattuale, senza tenere conto della diversa, ed ormai superata, quantificazione del credito operata nel ricorso monitorio.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in relazione a tale motivo, ed il giudice di rinvio dovrà procedere al calcolo delle rispettive ragioni di debito e credito, detraendo tutte le contrapposte pretese del ricorrente dall’importo complessivo del prezzo dell’appalto.

3. Il secondo motivo denuncia il vizio della sentenza impugnata per motivazione apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile in ordine alla mancata considerazione dell’IVA nella quantificazione dei costi per l’eliminazione dei vizi dell’opera nonchè la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in ordine all’esclusione dell’IVA dal risarcimento del danno e riduzione del prezzo per vizi.

Si segnala che la Corte d’Appello, pur riconoscendo una posta creditoria a favore del ricorrente per il ristoro dei danni derivanti dai vizi dell’opera realizzata, ha omesso di considerare anche l’Iva dovuta sulla sorta capitale, e ciò sebbene lo stesso ausiliario d’ufficio avesse quantificato il danno nell’importo di Euro 4.382,00 oltre IVA. Anche tale motivo è fondato.

Va evidenziato che in controricorso il F. sembra prospettare un ampliamento della domanda risarcitoria da parte del ricorrente, senza però proporre uno specifico motivo di ricorso incidentale, quanto alla denuncia del precetto di cui all’art. 112 c.p.c., e deduce che in ogni caso era carente una specifica richiesta dell’opponente quanto al riconoscimento dell’IVA. Ritiene il Collegio che a confutare tale deduzione valga il richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ancorchè in relazione ai danni derivanti da circolazione stradale, ma senza che tale diversa genesi del danno possa incidere sulla soluzione da seguire anche nel caso in esame, poichè il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e consequenziali, se esso è liquidato in base alle spese da affrontare per riparare un veicolo, il risarcimento comprende anche l’IVA, pur se la riparazione non è ancora avvenuta – a meno che il danneggiato, per l’attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell’IVA versata (cfr. Cass. n. 10023/1997; Cass. n. 1688/2010; – Cass. n. 14535/20,13).

Trattandosi appunto di un onere accessorio e consequenziale, deve quindi ritenersi che la richiesta di risarcimento del danno involga in sè anche la richiesta di riconoscimento dell’IVA, che doveva quindi essere aggiunta alla somma corrispondente all’importo dei danni, e senza che possa venire in rilievo, come dedotto dalla difesa dell’intimato, un profilo di novità della domanda, trattandosi di una componente insita nella richiesta risarcitoria.

La sentenza impugnata deve essere cassata anche in relazione a tale motivo ed il giudice del rinvio dovrà determinare le somme dovute al ricorrente a titolo di risarcimento del danno, considerando a tal fine anche l’importo dovuto a titolo di IVA.

4. Il terzo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto e di una specifica doglianza quanto al mancato esame dell’esistenza di patti successivi al contratto del 14 maggio 1988 che avevano determinato una riduzione del corrispettivo. Si sostiene che dal contenuto e dall’ammontare delle due fatture emesse dal F. nel corso del 1988 si ricavava che le parti avevano inteso ridurre il corrispettivo fissato in contratto, essendo frutto di un’unilaterale ed arbitraria iniziativa dell’appaltatore l’emissione della fattura n. (OMISSIS).

Deve quindi ritenersi che i lavori fossero stati completati nel 1988 e che quindi l’importo dovuto sia corrispondente a quanto emerge dalle due fatture emesse in quell’anno.

Il motivo è inammissibile in quanto mira surrettiziamente a sollecitare questa Corte ad una diversa e più appagante per la parte ricostruzione delle vicende di fatto.

In tal senso va ricordato che le Sezioni Unite (Cass. 8054/2014) hanno altresì sottolineato che “L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”. L’individuazione del corrispettivo dovuto è stata fatta dai giudici di appello ritenendo necessario avvalersi del contenuto del contratto di appalto, valorizzando, come si avrà modo di ribadire anche in occasione della disamina del motivo che segue, anche il tenore delle deposizioni testimoniali per concludere per l’esatta corrispondenza tra il corrispettivo pattuito e l’entità dell’opera realizzata, non potendosi infatti reputare che vi fosse stata una riduzione delle dimensioni dell’opera appaltata, idonea ad incidere anche sulla misura del corrispettivo.

Deve quindi ritenersi che, in disparte il mancato rispetto del requisito di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui riporta solo parzialmente il contenuto delle fatture invocate, la doglianza miri nel complesso a contestare la complessiva valutazione del materiale istruttorio (che come detto non deve necessariamente estendersi ad ogni elemento probatorio), proponendo una personale ricostruzione dei fatti a mente della quale dal contenuto delle fatture (atti tipicamente unilaterali) dovrebbe ricavarsi una volontà di modificare il contenuto di un contratto per il quale le parti avevano deciso di avvalersi della forma scritta, essendo quindi evidente come la critica investa profili evidentemente sottratti al sindacato di legittimità.

5. Il quarto motivo denuncia il vizio di omessa ed incomprensibile motivazione della sentenza per erronea valutazione di specifica doglianza mossa nell’atto di appello in riferimento al mancato riconoscimento di difformità esecutive della piscina per la riduzione delle sue dimensioni.

Si sostiene che la conclusione dei giudici di appello secondo cui le parti avrebbero voluto la realizzazione di una piscina avente esattamente le dimensioni di quella realizzata, parte dall’erronea supposizione che già il preventivo concernesse una piscina di dimensioni più contenute rispetto a quanto riportato nello stesso preventivo ed in contratto.

Il motivo è inammissibile in quanto anche in tal caso mira a contestare le insindacabili valutazioni del giudice di merito quanto alla corretta ricostruzione della volontà delle parti.

La decisione gravata, lungi dall’ignorare la discrasia esistente tra le dimensioni del manufatto di cui al preventivo e quelle invece concretamente assunte dalla piscina, ha ritenuto che la stessa potesse essere superata alla luce della complessiva valutazione del materiale probatorio (affermazione questa che alla luce di quanto in precedenza esposto rende immune la sentenza della denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), valorizzando il contenuto del progetto presentato in Comune, conforme alle effettive dimensioni dell’opera (e successivo alla predisposizione del preventivo, dal che il CTU ha ritenuto che il progetto corrispondesse all’effettiva volontà del committente, quale formatasi all’esito di un confronto con il progettista) nonchè il tenore delle deposizioni testimoniali (tra cui vi è anche quella del progettista), che confermava come con il contratto fosse stata prevista la realizzazione di una piscina delle dimensioni di m. 6 X 12.

6. La cassazione della sentenza, per effetto dell’accoglimento dei primi due motivi, impone il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bologna, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso nei termini di cui in motivazione, e dichiarati inammissibili gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bologna.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2019

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