Danno esistenziale: va sempre allegato e provato e può essere liquidato solo in presenza di una radicale alterazione delle proprie abitudini di vita

Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 05-04-2017) 29-01-2018, n. 2056

IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE

Il c.d. danno esistenziale consiste non già nel mero “sconvolgimento dell’agenda” o nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità della vita, e in particolare da meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, stress o violazioni del diritto alla tranquillità, bensì nel radicale cambiamento di vita, nell’alterazione/cambiamento della personalità del soggetto, nello sconvolgimento dell’esistenza. Esso va dal danneggiato allegato e provato, secondo la regola generale ex art. 2697 c.c. e l’allegazione a tal fine necessaria deve concernere fatti precisi e specifici del caso concreto, essere cioè circostanziata non potendo invero risolversi in mere enunciazioni di carattere del tutto generico e astratto, eventuale ed ipotetico.

L’ORDINANZA

(omissis)

Motivi della decisione

Con il 1 motivo la ricorrente in via principale denunzia “violazione e/o falsa applicazione” della L. n. 833 del 1978, art. 48, D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 degli Accordi Collettivi approvati con D.P.R. n. 884 del 1984, D.P.R. n. 289 del 1987, D.P.R. n. 314 del 1990, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omesso esame” di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia ritenuto provato che controparte avrebbe in breve tempo raggiunto un elevato numero di assistiti, laddove “la scelta del medico di base è una scelta del tutto discrezionale e libera da parte del cittadino, e quindi nessun medico ha diritto a un numero minimo di pazienti se non conquista la fiducia e la stima della popolazione con il proprio lavoro quotidiano”.

Con il 2 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 2043 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omesso esame” di fatti decisivi per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto la sua colpa, laddove “nel caso di specie non sussiste alcuna colpa o negligenza in capo ai funzionari della pregressa Usl n. 17 di Sassuolo”, in quanto, “come già si è rilevato in primo grado, la Delib. Giunta regionale… di recepimento dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale non era di facile interpretazione, se è vero, come è vero, che l’opzione ermeneutica scelta dal Comitato di Gestione della Usl di Sassuolo venne condivisa sia dalla Commissione Consultiva di cui al D.P.R. n. 882 del 1984, art. 8 (si veda il doc. 3 del fascicolo di primo grado), sia dal Comitato Regionale di Controllo… (doc. 1 fascicolo di primo grado ultima pagina)”.

Con il 3 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 1227 c.c.; nonchè “omesso esame” di fatti decisivi per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia escluso il concorso di colpa di controparte per la “scelta volontaria e colposa di un mezzo di tutela lento e inappropriato (il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica invece del ricorso al T.A.R., e per di più senza promuovimento dell’istanza di sospensione del provvedimento impugnato)”.

Con il 1 motivo il ricorrente in via incidentale denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 2059 c.c.; nonchè “omesso esame” di fatti decisivi per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito non abbia ritenuto il danno non patrimoniale in re ipsa, nonchè erroneamente valutato le emergenze probatorie dalle quali risultava che aveva subito stress, stato depressivo, trauma psicologico, “era sempre turbato, depresso e soprattutto dormiva malissimo”.

Con il 2 motivo denunzia “motivazione inesistente e/o omesso esame” di fatti decisivi per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia non correttamente valutato le emergenze processuali, e in particolare il dato del minor numero di assistiti.

I motivi dei ricorsi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Essi risultano anzitutto formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che i ricorrenti pongono a rispettivo fondamento atti e documenti del giudizio di merito (es., la “testimonianza dei dottori C., V. e L…. riportata nel verbale di udienza 27 settembre 2001 qui riprodotto come doc. 6”, la “perizia di parte depositata ex adverso e posta a base della pronuncia di condanna oggi impugnata”, i “chiarimenti” richiesti “nella seduta del 20 luglio 1987”, il “parere favorevole”, la ricorrente in via principale; l'”atto introduttivo del giudizio”, le “risultanze istruttorie”, i “documenti allegati da parte attrice (articoli di stampa… doc. 10, fascicolo di parte di I grado; doc. 12 fascicolo di parte documentazione prodotta all’udienza del 10/10/2000 nel giudizio di 1^ grado; docc. 2 e 3 fascicolo di parte di 2^ grado”, i “certificati medici attestanti le conseguenze psicofisiche che i fatti oggetto di giudizio hanno avuto sul Dottor G. – doc. 8 fascicolo di parte di 1 grado; doc. 11, fascicolo di parte di parte documentazione prodotta all’udienza del 10/10/2000 nel giudizio di 1 grado)”, le “risultanze testimoniali (testi B., F. e K., assunte all’udienza del 27/09/2001 nel procedimento di primo grado, allegato numero 8 al presente atto)”, i ricorrenti in via incidentale) limitandosi meramente a richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deducono le rispettivamente formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura dei rispettivi ricorsi, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nei medesimi (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Va ulteriormente posto in rilievo, quanto al ricorso principale, che la ricorrente si limita invero a meramente riproporre le doglianze già sottoposte all’attenzione del giudice del gravame e dal medesimo disattese; con riferimento al ricorso in via incidentale, che i ricorrenti inammissibilmente si dolgono dell’asseritamente erronea valutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova.

Va altresì sottolineato come, diversamente da quanto sostenuto dagli odierni ricorrenti in via incidentale, anche in caso di lesione di valori della persona il danno non può considerarsi in re ipsa, risultando altrimenti snaturata la funzione del risarcimento, che verrebbe ad essere concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno bensì quale pena privata per un comportamento lesivo (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975), ma va provato dal danneggiato secondo la regola generale ex art. 2697 c.c. A tale stregua, (pure) il danno non patrimoniale deve essere allora sempre allegato e provato, in quanto l’onere della prova non dipende dalla relativa qualificazione in termini di “danno-conseguenza”, ma tutti i danni extracontrattuali sono da provarsi da chi ne pretende il risarcimento, e pertanto anche il danno non patrimoniale, nei suoi vari aspetti, la prova potendo essere d’altro canto data con ogni mezzo, anche per presunzioni (v. Cass., 3/10/2013, n. 22585; Cass., 20/11/2012, n. 20292; Cass., 16/2/2012, n. 2228. V. altresì, successivamente alle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008, Cass., 23/1/2014, n. 1361; Cass., 6/4/2011, n. 7844; Cass., 5/10/2009, n. 21223; Cass., 22/7/2009, n. 17101; Cass., 1/7/2009, n. 1540).

Con particolare riferimento al c.d. danno esistenziale, atteso che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità esso consiste non già nel mero “sconvolgimento dell’agenda” o nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità della vita, e in particolare da meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, stress o violazioni del diritto alla tranquillità (v. Cass., 3/10/2016, n. 19641; Cass., 20/8/2015, n. 16992; 23/1/2014, n. 1361. E già Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26973; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26974), bensì nel radicale cambiamento di vita, nell’alterazione/cambiamento della personalità del soggetto, nello sconvolgimento dell’esistenza in cui di detto aspetto (o voce) del danno non patrimoniale si coglie il significato pregnante (cfr. Cass., 16/11/2017, n. 27229; Cass., 11/4/2017, n. 9250; Cass., 19/10/2016, n. 21059; Cass., 20/8/2015, n. 16992; Cass., 30/6/2011, n. 14402), si è da questa Corte più volte avuto modo di affermare che esso va dal danneggiato allegato e provato, secondo la regola generale ex art. 2697 c.c. (v. Cass., 16/2/2012, n. 2228; Cass., 13/5/2011, n. 10527), e l’allegazione a tal fine necessaria deve concernere fatti precisi e specifici del caso concreto, essere cioè circostanziata, e non già purchessia formulata, non potendo invero risolversi in mere enunciazioni di carattere del tutto generico e astratto, eventuale ed ipotetico (v. Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., 25 settembre 2012, n. 16255; Cass., 20/8/2015, n. 16992).

Orbene, nella specie lo sconvolgimento dell’esistenza non risulta dai ricorrenti in via incidentale nemmeno allegato.

Nel motivo di ricorso essi sintomaticamente si dolgono del non essere stato dalla corte di merito considerato e liquidato il danno consistito nello stress, nello stato depressivo, nel trauma psicologico asseritamente subito dal G.; nell’essere il medesimo rimasto “sempre turbato, depresso” e nella circostanza che “soprattutto dormiva malissimo”.

Orbene, si evince con tutta evidenza come a tale stregua non risulta dai medesimi in realtà allegato un danno da sconvolgimento della vita nell’accezione accolta da questa Corte, bensì al più integrante la diversa voce del c.d. danno biologico, che pure compendia la categoria generale del danno non patrimoniale.

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dei ricorrenti sia in via principale che incidentale -, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro rispettive aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei rispettivi motivi consegue il rigetto di entrambi i ricorsi.

Stante la reciproca soccombenza va disposta la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, principale ed incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto -rispettivamente – per il ricorso principale ed incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2018

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