Danno da fermo tecnico: non è (più) un danno in re ipsa e va provato

Cass. civ. Sez. III, Ordinanza 04-04-2019, n. 9348

IL PASSO SALIENTE DELL’ORDINANZA

“In seno alla Terza Sezione è maturato – a far data dalla decisione del 17/07/2015, n. 15089 – e va via consolidandosi (Cass. 14/10/2015, n. 20620; Cass. 31/05/2017, n. 13718), l’indirizzo, cui si ritiene opportuno dare continuità, che ritiene che l’indisponibilità di un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni sia un danno che deve essere allegato e dimostrato; che la prova del danno non possa consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma che occorra fornire la prova della spesa sostenuta per procurarsi un mezzo sostitutivo ovvero della perdita subita per avere dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall’uso del mezzo.”

L’ORDINANZA

(Omissis)

Svolgimento del processo

F.S. ricorre per la cassazione della sentenza n. 314/17 del Tribunale di Brindisi, pubblicata il 20/02/2017, formulando un unico articolato motivo. Nessuna attività difensiva è svolta dalle resistenti.

La vicenda ha per oggetto la richiesta di risarcimento dei danni al motociclo Honda di proprietà dell’attuale ricorrente, parcheggiato in strada e privo di copertura assicurativa, cagionati, durante una manovra di retromarcia, dalla vettura di proprietà di M.M., assicurata dalla Genertel SPA. Il Giudice di Pace di Brindisi, adito da F.S., con sentenza n. 91/93, rigettava la domanda attorea, avente ad oggetto la richiesta, a titolo risarcitorio, della somma di Euro 4.030,46, a saldo di quanto a lei asseritamente spettante per i danni subiti dal motociclo, quantificati in Euro 7.355,46, e per i danni da fermo tecnico durato tre giorni, pari ad Euro 150,00, detratto l’acconto di Euro 3.475,00 ricevuto dalla Genertel SPA. Il Tribunale di Brindisi, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, investito del gravame da F.S., rigettava l’appello e condannava l’appellante alla rifusione delle spese di lite.

Le ragioni della sentenza sono le seguenti: la somma ottenuta dalla compagnia assicurativa doveva ritenersi integralmente satisfattiva del danno materiale subito dal motociclo; non era dovuta l’Iva perchè il motociclo era stato alienato previa riparazione, ma senza produzione di alcuna documentazione fiscale attestante l’avvenuta riparazione e la sopportazione dell’onere dell’IVA; il danno da fermo tecnico non competeva alla richiedente perchè il motociclo, essendo sprovvisto di assicurazione, non poteva circolare.

Motivi della decisione

1.La ricorrente censura la sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deducendo che:

a)secondo la prevalente giurisprudenza, il risarcimento del danno relativo ad un veicolo danneggiato deve comprendere anche l’Iva, indipendentemente dal fatto che la riparazione sia avvenuta, perchè la funzione del risarcimento del danno è quella di porre il patrimonio del danneggiato nello stato in cui si sarebbe trovato senza l’evento lesivo, a prescindere dagli esborsi effettuati;

  1. b) il danno da fermo tecnico non richiede una prova specifica, essendo la sosta forzata fonte di spese: tassa di circolazione, premio assicurativo, naturale deprezzamento del bene;

c)erroneamente, la mancata liquidazione dell’Iva era stata fatta discendere da vicende successive al danneggiamento, omettendo di considerare che il danno deve delinearsi al momento dell’eventus damni e che su di esso sono ininfluenti le scelte successive del danneggiato.

  1. Il motivo è, per alcuni versi, inammissibile, per altri, infondato.

In via preliminare deve rilevarsi che, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 4, (applicabile, nel caso di specie, essendo stato l’appello introdotto con atto notificato dopo l’11 settembre 2012), avendo il giudice del primo e quello del secondo grado condiviso le medesime valutazioni di fatto, alla ricorrente era precluso porre a fondamento del motivo di ricorso la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a meno di indicare – ciò che non è avvenuto nel caso di specie – che le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello erano tra loro diverse (ex plurimis Cass. 22/12/2016, n. 26774).

Ad abundantiam, si osserva altresì che la deduzione del vizio denunciato non risulta supportata dai relativi oneri di allegazione, necessari per assicurare il soddisfacimento del principio di autosufficienza del ricorso: il fatto omesso, il dato extratestuale dal quale evincere la sua esistenza nonchè il come e il quando tale fatto fosse stato oggetto di discussione tra le parti.

La ricorrente, pur svolgendo le proprie censure anche sotto il canone della violazione di legge, tende in larga misura a rimettere in discussione – mancata attenzione per le ragioni del contrasto tra il preventivo di spesa, basato sulla sostituzione del braccio oscillante posteriore del motociclo e formulato a seguito di visione del mezzo danneggiato, e la CTU che, avvalendosi solo della documentazione fotografica, aveva ritenuto più congrua la sostituzione di tale pezzo meccanico piuttosto che la sua sostituzione – apprezzamenti che rientrano nella esclusiva discrezionalità del giudice di merito e, pertanto, sono incensurabili in questa sede.

Si deve, infatti, ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta per mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Sfugge parzialmente al rilievo formulato il tentativo della ricorrente di fondare la dedotta violazione di legge sul contrasto tra la decisione impugnata e l’orientamento della giurisprudenza di legittimità asseritamente più recente -viene rimproverato al giudice a quo di aver fondato le proprie motivazioni su giurisprudenza “in auge almeno un ventennio fa” (p. 3 del ricorso), indicando l’orientamento più recente in quello espresso da talune decisioni espressamente indicate (n. 1688/2010; n. 9740/2002; n. 10023/1997; n. 14535/13) -.

Non è revocabile in dubbio che il risarcimento del danno patrimoniale debba comprendere anche gli oneri accessori e conseguenziali: pertanto, se esso è consistito nelle spese da affrontare per riparare un veicolo, il risarcimento deve comprendere anche l’importo dovuto dal danneggiato all’autoriparatore a titolo di IVA, pur quando la riparazione non sia ancora avvenuta (a meno che il danneggiato, per l’attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell’IVA versata), dal momento che l’autoriparatore, per legge (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 18), deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente (ex plurimis, Cass. 27/01/2010, n. 1688).

Tale principio, tuttavia, non è pertinente nel nostro caso, avuto riguardo alla concreta ratio decidendi adottata dalla sentenza impugnata.

Il Tribunale ha infatti liquidato il danno senza tenere conto dell’IVA con un ragionamento così riassumibile:

(a) il veicolo è stato alienato dopo essere stato riparato;

(b) la danneggiata non ha dimostrato di avere sostenuto spese di sorta o versato l’IVA al riparatore;

(c) deve ritenersi che la riparazione sia avvenuta “in economia” ovvero senza versamento dell’IVA al riparatore.

Il Tribunale, dunque, non ha affatto negato in iure che l’importo dovuto a titolo di IVA sul costo delle riparazioni spetti al danneggiato se il veicolo non è stato riparato; ma ha semplicemente accertato in facto che il veicolo era stata riparato e non che non c’era fattura, quindi, ha ritenuto che l’Iva non fosse stata assolta e, di conseguenza, che non vi fosse sotto questo aspetto un danno risarcibile: e questo è un apprezzamento di merito non sindacabile in questa sede (Cass. 29/09/2016, n. 19294).

Anche quanto alla richiesta risarcitoria avente ad oggetto il danno da fermo tecnico il motivo risulta infondato.

Deve prendersi atto che in ordine al se il danno da fermo tecnico sia un danno in re ipsa, come ritenuto dalla ricorrente, ovvero se esso debba essere allegato e provato da colui che ne invoca il risarcimento si è registrato in passato un contrasto giurisprudenziale protrattosi per decenni.

A decisioni che lo ritenevano liquidabile in via equitativa indipendentemente da una prova specifica in ordine al pregiudizio subito, rilevando la sola circostanza che il danneggiato risultasse privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato – in ragione del fatto che l’autoveicolo, anche durante la sosta forzata è una fonte di spesa per il proprietario (tenuto a sostenere gli oneri per la tassa di circolazione e il premio di assicurazione) ed è altresì soggetto a un naturale deprezzamento di valore (tra le pronunce più recenti espressione di tale indirizzo cfr. Cass. 04/10/2013, n. 22687; Cass. 26/06/2015, n. 13215) – si opponevano pronunce che, ritenendo insufficiente la mera indisponibilità del veicolo, richiedevano ai fini della liquidazione del danno da fermo tecnico la dimostrazione della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo ovvero della perdita dell’utilità economica derivante dalla rinuncia forzata ai proventi ricavabili dal suo uso (Cass. 07/02/1996, n. 970; Cass. 19/11/1999, n. 12820).

In seno alla Terza Sezione è maturato – a far data dalla decisione del 17/07/2015, n. 15089 – e va via consolidandosi (Cass. 14/10/2015, n. 20620; Cass. 31/05/2017, n. 13718), l’indirizzo, cui si ritiene opportuno dare continuità, che ritiene che l’indisponibilità di un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni sia un danno che deve essere allegato e dimostrato; che la prova del danno non possa consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma che occorra fornire la prova della spesa sostenuta per procurarsi un mezzo sostitutivo ovvero della perdita subita per avere dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall’uso del mezzo.

La conclusione si fonda sulle seguenti premesse:

  1. a) non trovano ingresso nel nostro ordinamento danni in re ipsa, giacchè, in primo luogo, il danno non coincide con l’evento dannoso, ma individua le conseguenze da esso prodotte, in secondo luogo, ammettere il risarcimento del danno per la mera lesione dell’interesse giuridicamente protetto significherebbe utilizzare la responsabilità civile in funzione sanzionatoria, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (ex plurimis Cass. 04/12/2018, n. 31233);
  2. b) la liquidazione equitativa non può sopperire al difetto di prova del danno, giacchè essa presuppone che il pregiudizio del quale si reclama il risarcimento sia stato accertato nella sua consistenza ontologica; se tale certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa, non sottraendosi tale ipotesi all’applicazione del principio dell’onere della prova quale regola del giudizio, secondo il quale se l’attore non ha fornito la prova del suo diritto in giudizio la sua domanda deve essere rigettata, atteso che il potere del giudice di liquidare equitativamente il danno ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della sua precisa determinazione (Cass. 14/05/2018, n. 11698).
  3. c) la tassa di circolazione e le spese di assicurazione non possono reputarsi inutilmente pagate: la prima perchè prescinde dall’uso del veicolo, essendo una tassa di proprietà; le secondo perchè, con un comportamento improntato al rispetto di quanto previsto dall’art. 1227 c.c., comma 2, possono essere sospese (su richiesta del danneggiato);
  4. d) il deprezzamento del bene non è in nesso di relazione causale con il fermo tecnico, ma con la necessità di procedere alla riparazione del mezzo;

La sentenza gravata, dunque, ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, negando il risarcimento del danno da fermo tecnico in ragione del fatto che il motociclo era sprovvisto di assicurazione obbligatoria e quindi non poteva circolare.

Il Tribunale ha tratto la presunzione negativa che la vittima avesse riportato un danno da fermo tecnico dalla circostanza grave, precisa e concordante che la stessa non potesse utilizzare il ciclomotore. E la ricorrente non ha allegato alcun concreto elemento atto a contrastare l’assunto che il mezzo fosse sprovvisto di copertura assicurativa e che tale condizione ne rendeva, allo stato, impossibile l’utilizzazione.

  1. Ne consegue il rigetto del ricorso.
  2. Nulla deve essere liquidato per le spese, non avendo le resistenti svolto attività difensiva.
  3. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico della ricorrente l’obbligo di pagare il doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Nulla liquida per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 21 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2019

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