Danno biologico micropermanente: è risarcibile anche il danno i cui postumi non siano visibili

Cass. civ. Sez. III, Ordinanza, 28-02-2019, n. 5820

IL PASSO SALIENTE DELL’ORDINANZA

“È risarcibile anche il danno i cui postumi non siano “visibili”, ovvero non siano suscettibili di accertamenti “strumentali”, a condizione che l’esistenza di essi possa affermarsi sulla base di una ineccepibile e scientificamente inappuntabile criteriologia medico legate.”

L’ORDINANZA

(omissis)

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Bologna con sentenza n. 20045/2017 accogliendo parzialmente l’appello proposto da P.S. nei confronti di Allianz Assicurazioni s.p.a., nonchè accogliendo integralmente l’appello proposto dalla compagnia convenuta – ha parzialmente riformato la sentenza n. 3342/2015 del Giudice di Pace di Bologna e, per l’effetto, ha condannato Allianz al pagamento in favore della P. dell’ulteriore importo di Euro 261,81 ed ha nel contempo condannato la P. a restituire la somma già percepita dalla compagnia a titolo di risarcimento del danno da invalidità permanente.

2. Era accaduto che in data (OMISSIS) si era verificato un sinistro stradale in (OMISSIS), all’intersezione tra (OMISSIS), tra l’autovettura Nissan Micra tg. (OMISSIS), condotta dalla P., e l’auto Fiat Punto tg. (OMISSIS), di proprietà e condotta da A.G..

Fu così che nel febbraio 2014 la P. aveva convenuto in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Bologna, l’ A. e l’Allianz Assicurazioni sp.a., per ivi sentir condannare quest’ultima al risarcimento di tutti danni fisici, patrimoniali e non, subiti in conseguenza del suddetto incidente stradale, deducendo in fatto che la propria autovettura era stata investita da quella condotta dall’ A. e che questi aveva omesso di darle la dovuta precedenza. In particolare la P. aveva richiesto a titolo risarcitorio una somma di giustizia, detratti Euro 727,65 corrisposti dalla Società assicuratrice Allianz e trattenuta in acconto.

Si era costituita la compagnia assicuratrice convenuta, contestando la domanda attorea esclusivamente in punto di quantum, affermando in particolare che, sulla base della recente normativa, le lesioni di lieve entità non possono essere risarcite ove non suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo.

Il Giudice di pace, acquisita la documentazione prodotta dalle parti ed espletata la ctu, aveva accertato la totale responsabilità del sinistro in capo al convenuto A., e aderendo alle risultanze del ctu (ITP al 75% gg. 6; ITP al 50% gg. 20; ITP al 25% gg.; IP 2% per lesioni muscolari a carico del rachide cervico-lombare; valutazione spese mediche) aveva condannato Allianz al pagamento in favore dell’attrice dell’ulteriore somma di Euro 1.769,82 per danni fisici e di Euro 603,63 per alcune spese mediche.

Avverso la sentenza del giudice di prima grado aveva proposto appello la P., lamentando che non erano state liquidate altre spese mediche (e precisamente le spese sostenute per due visite ortopediche e per la risonanza magnetica successivamente al periodo di malattia; nonchè le spese per la consulenza di parte), pur ritenute dal ctu, le cui risultanze non erano state contestate; e che era stato sottostimato il danno non patrimoniale (per non essere stata considerata a dovere la sofferenza morale, desumibile dall’astratta configurabilità nella specie del reato di lesioni colpose e dalla complessiva documentazione prodotta). Aveva altresì evocato alcune pronunce di questa Corte (precisamente la sent. n. 10524 del 2014 e la sent. n. 22585 del 2013), nonchè la sent. N. 235 del 2014 della Corte Costituzionale per dedurre l’autonomia ontologica del danno morale rispetto al danno biologico contemplato dagli artt. 138 e 139 cod. ass. priv..

Si era costituita l’Impresa assicurativa, che – oltre a contestare il gravame, del quale aveva chiesto il rigetto – aveva proposto appello incidentale, deducendo che il Giudice di primo grado aveva erroneamente riconosciuto la percentuale d’invalidità permanente del 2% sulla base dei riscontri clinici operati dal nominato ctu, pur in difetto di riscontri strumentali, come invece richiesto dal testo riformato dell’art. 139 codice delle assicurazioni private. In definitiva, secondo la Compagnia appellante in via incidentale, avrebbe dovuto escludersi la risarcibilità del danno biologico permanente, difettando un accertamento strumentale significativo.

E il Tribunale di Bologna, quale giudice di appello, con la impugnata sentenza, come sopra precisato, ha riconosciuto maggiori spese mediche alla P., ma, in accoglimento dell’appello incidentale, ha rigettato la domanda di ristoro del danno biologico permanente.

3 Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso la P..

Resiste con controricorso la compagnia.

Nessuna attività difensiva viene svolta dall’ A..

In vista dell’odierna adunanza la ricorrente e la compagnia contro ricorrente depositano memoria a sostegno dei rispettivi assunti.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è affidato a tre motivi.

1.1. Precisamente P.S. – premesso che il nominato ctu aveva riscontrato una invalidità permanente del 2% nonchè una inabilità temporanea (di giorni 6 al 75%, di giorni 20 al 50%, di ulteriori giorni 20 al 25%) – denuncia con il primo motivo (articolato in due censure, di cui la seconda subordinata alla prima, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 139, comma 2, u.p. giusta modifica D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, ex art. 32, comma 3.ter conv. dalla L. 24 marzo 2012, art. 27 e stesso art. 32, comma 3.quater, art. 139 detto commi 1 e 2, nonchè degli artt. 2043, 2056, 1223 e 2059 c.c. e art. 32 Cost.) nella parte in cui il Tribunale – ancorandosi all’interpretazione data alle suddette norme dalla Corte costituzionale con le sentenze interpretative di rigetto nn. 235/2014 e 242/2015 (nelle quali è stato ritenuto ragionevole bilanciare la tutela del diritto alla salute ed all’integrale risarcimento dei danni con l’interesse generale e sociale ad avere un livello accettabile dei premi assicurativi) – ha ritenuto che le microlesioni, accertate mediante solo riscontro clinico, non possono dar luogo a risarcimento, essendo necessario l’accertamento strumentale; e che le indagini strumentali di cui al comma 3-ter si pongono in riferimento (non al trauma inteso come danno evento, ma) al danno conseguenza (ovvero alle lesioni permanenti esitate dal trauma).

1.1.1. In particolare, la ricorrente, in via principale, sostiene (pp. 6-8) che il danno biologico permanente, per lesioni di lieve entità derivate da sinistro stradale, ove accertato in sede di visita medico legale, va risarcito, anche in assenza di esami strumentali. Rileva che vi sono malattie e menomazioni che – pur prestandosi ad un riscontro clinico, obiettivato dall’esperto medico legale – non si prestano per loro natura ad un riscontro strumentale, ragion per cui una interpretazione letterale delle norme sopra richiamate porterebbe ad escludere il risarcimento di numerosi danni biologici. Osserva che, come già ritenuto da questa Corte con sentenza n. 18773 del 26/9/2016, i commi 3-ter e 3-quater pongono in rilievo i criteri e la metodologia tipici della medicina legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, nè unitariamente intesi, ma da utilizzare secondo le leges artis), che, in quanto tali, conducono all’obiettività dell’accertamento, sia rispetto alle lesioni che agli eventuali postumi. Pertanto, secondo la ricorrente, detti articoli vanno letti congiuntamente nel senso che il danno biologico in esame, per essere risarcibile, deve essere suscettibile di accertamento medico-legale. E tanto era avvenuto nel caso di specie nel quale il c.t.u. dr. C. aveva accertato le lesioni alla struttura muscolare, anche se queste non erano accertabili con un vero e proprio riscontro strumentale.

1.1.2. In via subordinata rispetto alla doglianza che precede, la ricorrente sostiene (p. 17 ss.) che il danno biologico permanente, per lesioni di lieve entità derivante da sinistro stradale, è risarcibile, anche se non suscettibile di accertamento strumentale, purchè siano suscettibili di siffatto accertamento le lesioni derivate direttamente dal trauma rispetto al periodo di malattia, spettando poi ogni valutazione, anche in merito alla semplice lesione, al medico-legale. Osserva nuovamente che i commi 3-ter e 3-quater implicano anche nel loro insieme, che il danno biologico sia suscettibile di accertamento medico-legale, in quanto pongono in rilievo i criteri e la metodologia tipici della medicina legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, nè unitariamente intesi, ma da utilizzare secondo le leges artis) che, in quanto tali, conducono all’obiettività dell’accertamento, sia rispetto alle lesioni che agli eventuali postumi. Pertanto, secondo la ricorrente, detti articoli vanno letti congiuntamente nel senso che quanto meno l’accertamento strumentale contemplato dal comma 3 ter attiene alle lesioni in sè considerate come derivate dal trauma, ma non attiene alle lesioni permanenti. E nel caso di specie il c.t.u. dr. C., da un lato, aveva rilevato che il tipo di menomazione venuto in essere (e cioè la distrazione delle strutture miofasciali del comparto cervico-lombare) è suscettibile di essere acclarata con riscontro clinico-visivo e dall’altro aveva messo in evidenza le risultanze del carteggio medico comprendente anche esami ed accertamenti strumentai- avvenuti durante il corso della malattia;

1.2. La ricorrente denuncia poi con il secondo motivo (articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): violazione e falsa applicazione dell’art. 2043, 2059, 2056 e 1223 c.c., nonchè decreto D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 139, comma 3 nella parte in cui il Tribunale (motivando il rigetto del motivo di appello, avente ad oggetto il riconoscimento del danno morale, come conseguenza dell’accoglimento dell’appello incidentale) sembra far dipendere la risarcibilità del danno morale, inteso come sofferenza soggettiva, in presenza di lesioni alla persona, esclusivamente dall’esistenza del pregiudizio biologico permanente.

Al riguardo la ricorrente sostiene (p. 21 e ss.) che, ancorchè non possa parlarsi di danno in re ipsa, la sofferenza morale, fisica o psichica, viene di norma a verificarsi secondo il principio dell’id quod plerumque accidit, in caso di lesione all’integrità fisica e così del bene della salute, per cui occorrerà tenerne conto anche alla luce dell’art. 2 Cost. che tutela l’integrità e la dignità morale della persona, nel risarcimento del danno biologico anche se solo, pertanto, di natura temporanea, e quando peraltro l’anzidetto principio a fortiori è invocabile per la sofferenza transeunte.

In definitiva, secondo la ricorrente, la sofferenza morale della vittima ben può sussistere anche in assenza di reliquati permanenti.

1.3. Infine, la P., con il terzo motivo (articolato anch’esso in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), denuncia: violazione e falsa applicazione degli articoli dell’art. 2043, 2056 e 1223 c.c. nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto non necessaria la perizia di parte, in quanto l’invalidità temporanea era stata tempestivamente ristorata dalla compagnia, mentre il danno da invalidità permanente era stato escluso in sede giudiziale.

Sostiene la ricorrente (p. 24 e ss.) che, in tema di lesioni personali, le spese della corrispondente relazione medico legale di parte, si presentano di norma necessarie, a maggior ragione attesa l’estrema rilevanza dell’attività del medico-legale, sicchè il Giudice può escluderne la ripetizione soltanto qualora non le ritenga tali. In tal caso, tuttavia, sarà necessaria una motivazione pertinente, che in particolar modo non abbia a risolversi nella mera affermazione che il ctu (o ancor più, direttamente il Giudice) non ha riscontrato postumi permanenti, ovvero che si è provveduto già prima al risarcimento (specie se l’intervenuto risarcimento si è rivelato insufficiente).

2. Il primo motivo di ricorso – che sottende la questione della risarcibilità delle microlesioni, che siano state accertate mediante riscontro clinico o visivo, ma che non siano accertabili strumentalmente – è fondato.

2.1. La L. 24 marzo 2012, n. 27, recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” – nel convertire con modificazioni il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 – all’art. 32, commi 3 ter e 3 quater ha introdotto due previsioni che hanno inciso direttamente sui criteri di accertamento del danno alla persona che sia derivato da sinistri stradali e che abbia prodotto postumi permanenti in misura non superiore al 9% della complessiva validità dell’individuo.

Precisamente: la L. n. 27 del 2012, art. 32, comma 3 ter ha modificato dell’art. 139 codice delle assicurazioni, comma 2 (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209), aggiungendovi il seguente periodo: “in ogni caso le lesioni di lieve entità che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”.

Il comma 3 quater cit. norma stabilisce invece (senza modificare testualmente il codice delle assicurazioni): il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui al D.Lgs. 7 settembre 2006, n. 209, art. 139 è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”.

E, per completezza, va fin da ora precisato che la L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 19 ha ulteriormente riscritto il testo dell’art. 139 in esame; mentre l’art. 1, comma 30, lett. b) cit. Legge ha abrogato della L. n. 27 del 2012, il comma 3 quater.

Poichè la L. n. 124 del 2017 è sopravvenuta alla proposizione del ricorso introduttivo del presente giudizio e poichè i comma 3 ter e 3 quater in esame si applicano anche ai giudizi in corso (come precisato da questa Corte nella sentenza n. 18773/2016, anche con richiamo alla sentenza n. 235 del 2014 della Corte costituzionale), occorre in questa sede far riferimento alle sopra richiamate disposizioni, che hanno limitato – invero soltanto apparentemente il risarcimento alle sole microlesioni suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo. Invero – a prescindere dal rilievo che nel comma 3 ter si parla di “lesioni di lieve entità”, mentre nel comma 3 quater di “danno alla persona per lesioni di lieve entità” le due norme si differenziano sotto un unico fondamentale profilo: nel comma 3 terubordina la risarcibilità ad un “accertamento clinico strumentale obiettivo”, mentre nel comma 3 quater la risarcibilità è subordinata ad un “riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”.

2.2. Per tale ragione, i commi 3 ter e 3 quater hanno formato oggetto di contrastanti interpretazioni in dottrina e nella giurisprudenza di merito.

Secondo un primo orientamento, il legislatore con dette norme ha inteso porre un limite legale ai mezzi con cui provare il danno alla persona, quando questo abbia prodotto esiti micro-permanenti. In tal caso infatti la prova del danno potrebbe essere ricavata soltanto da un accertamento strumentale (ad es. radiografia, risonanza magnetica, TAC, ecc.). Tale orientamento non è condivisibile, perchè limita il principio del libero convincimento del giudice, obbligandolo ad escludere dal novero delle prove utilizzabili quelle diverse dalla documentazione clinica.

Secondo altro orientamento, le nuove norme avrebbero introdotto una “soglia di risarcibilità”, ovvero una franchigia nel caso di danno alla salute causato da sinistri stradali. In altri termini, secondo l’orientamento in esame, in caso di sinistro stradale, non ogni dar no alla persona sarebbe risarcibile, ma soltanto quello di intensità tale da poter essere strumentalmente accertato. Anche tale orientamento non può essere condiviso, avendo già avuto modo di affermare la Corte costituzionale nella sentenza n. 235/2014, sia pure in un obiter dictum, che le disposizioni del decreto in esame non attengono “alla consistenza del diritto al risarcimento delle lesioni (…), bensì solo al momento successivo del suo accertamento in concreto”: dunque, secondo la Consulta, il c.d. cecreto sviluppo non ha introdotto alcuna franchigia o soglia di risarcibilità del danno biologico, ma ha soltanto dettato norme più rigorose per quanto riguarda l’accertamento dell’esistenza di postumi micro permanenti.

2.3. Sull’interpretazione da attribuire alle disposizioni ora richiamate proprio questa Sezione della Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi con sentenza 26 settembre 2016, n. 18773 (Rv. 642106 – 02), la quale ha sostanzialmente fissato i seguenti principi:

– il D.L. n. 1 del 2012, art. 32, commi 3 ter e 3 quater sono norme non diverse tra loro, che dettano identici precetti;

– tutte e due le norme non fanno che ribadire il principio già emerso dal diritto vivente, secondo cui il danno biologico è solo quello suscettibile di accertamento medico legale;

– le due norme vanno dunque intese nel senso che l’accertamento del danno non può che avvenire con i consueti criteri medico legali: e dunque l’esame obiettivo (criterio visivo); l’esame clinico; gli esami strumentali;

– tali criteri inoltre non sono “non gerarchicamente ordinati tra loro, nè unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis, siccome conducenti ad una “obiettività” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti)”.

Alla citata pronuncia questa Sezione ha dato continuità con l’ancor più recente sentenza n. 1272 del 19/01/2018 (Rv. 64758101) con la quale – dopo aver ribadito che “in materia di risarcimento del danno da c.d. micro-permanente, il D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 139, comma 2, nel testo modificato dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 32, comma 3 – ter, inserito dalla Legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27, va interpretato nel senso che l’accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica deve avvenire con rigorosi ed oggettivi criteri medico-legali” – ha precisato che: “l’accertamento clinico strumentale obiettivo non potrà in ogni caso ritenersi l’unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori, a meno che non si tratti di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita del medico legale, che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale”.

2.4. Nel solco tracciato dalle sentenze sopra richiamate, occorre qui ribadire che la normativa, introdotta dal legislatore nel 2012, ha avuto come obiettivo quello di sollecitare tutti gli operatori del settore ad un rigoroso accertamento dell’effettiva esistenza delle patologie di modesta entità, cioè quelle che si individuano per gli esiti permanenti contenuti entro la soglia del 9 per cento. Ciò è del tutto ragionevole se sol si considera che le richieste di risarcimento per lesioni di lieve entità sono – ai fini statistici (cioè ai fini che assumono grande rilevanza per la gestione del sistema assicurativo) – le più numerose; ragion per cui, nonostante il loro modesto contenuto economico, comportano comunque ingenti costi collettivi.

Anche la Corte costituzionale, dopo la soprarichiamata sentenza n. 235 del 2014, si è tornata ad occuparsi della materia con l’ordinanza n. 242 del 2015, con la quale ha avuto modo di chiarire che il senso della normativa del 2012 è quello di impedire che l’accertamento diagnostico ridondi in una “discrezionalità eccessiva, con rischio di estensione a postumi invalidanti inesistenti o enfatizzati”, anche in considerazione dell’interesse “generale e sociale degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi”. il che conferma l’esigenza economica di un equilibrio tra i premi incassati e le prestazioni che le società di assicurazione devono erogare.

Ciò posto, occorre altresì ribadire che il rigore che il legislatore del 2012 ha dimostrato di voler esigere – e che deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in subiecta materia – non può essere inteso nel senso che la prova della lesione deve essere fornita esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale. Invero, è sempre e soltanto l’accertamento medico legale – svolto in conformità alle leges artis – a stabilire se la lesione sussista e quale percentuale sia ad essa ricollegabile. E l’accertamento medico, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, non può essere imbrigliato con un vincolo probatorio, in quanto il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e la limitazione della prova della lesione del medesimo non può che essere conforme a criteri di ragionevolezza.

D’altronde, le due norme in esame presentano una struttura analoga, in quanto entrambe fissano le condizioni che debbono sussistere per potere chiedere ed ottenere il risarcimento del danno alla persona di lieve entità. Invero, il legislatore del 2012, nel comma 3 ter ha previsto che: le lesioni di lieve entità, se non siano suscettibili di “accertamento clinico strumentale obiettivo”, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente; mentre, nel comma 3 quater,, ha previsto che il danno alla persona per lesioni di lieve entità ex art. 139 cod. ass., se manca un “riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”, non è risarcito.

Può essere allora utile ricordare ancora una volta che il D.L. n. 1 del 2012 è stato adottato al dichiarato scopo di rilanciare l’economia, favorire la concorrenza, incentivare sia i consumi che il risparmio. In quest’ottica, il contenimento delle truffe assicurative, e massimamente di quelle legate alla sinistrosità stradale, è visto dal legislatore come un mezzo per ridurre i costi degli indennizzi e, di conseguenza, favorire l’abbassamento dei premi (tanto è vero che il successivo D.L. n. 1 del 2012, art. 33 ha inasprito le sanzioni per le false attestazioni di invalidità derivanti dai sinistri stradali).

Orbene, se il legislatore ha inteso evitare l’erogazione di indennizzi non dovuti per lesioni inesistenti, la finalità delle nuove norme va conseguentemente ravvisata nell’intento di contrastare non solo il fenomeno delle truffe assicurative, ma anche la semplice negligenza colposa nell’accertamento dei micro-danni: anche il contrasto a detta negligenza, infatti, è necessario per contenere i costi dei risarcimenti per lesioni minime e consentire risparmi di gestione che dovrebbero tradursi in una riduzione dei premi assicurativi, o comunque in altri benefici per gli assicurati.

In definitiva, l’unico sostanziale carattere differenziale tra le due previsioni è che il comma 3 ter fa riferimento ai soli postumi permanenti; mentre il comma 3 quater fa riferimento, oltre che ai postumi permanenti, anche a quelli temporanei. Entrambe le norme, tuttavia, subordinano la risarcibilità del danno a presupposti identici.

Il combinato disposto delle due previsioni porta dunque a concludere che il legislatore ha voluto ancorare la liquidazione del danno biologico, sia temporaneo che permanente, in presenza di postumi micro-permanenti o senza postumi, ad un rigoroso riscontro obiettivo in rapporto alla singola patologia. Invero, vi sono malattie che si estrinsecano con delle alterazioni strumentali, che non sono rilevabili clinicamente o neppure all’esame obiettivo: si consideri un trauma cranico con microlesione encefalica che dia luogo ad un focolaio epilettogeno; detta patologia produce sintomatologia di tipo temporale, che solo il paziente è in grado di riferire, ed è dimostrabile soltanto strumentalmente (mediante un’alterazione dell’EEG). Al contrario, i disturbi psico reattivi e le lesioni sensoriali non sono generalmente suscettibili di essere dimostrati mediante un accertamento strumentale, ma possono essere accertate ricorrendo ad un esame clinico.

Sotto tale profilo, contrariamente all’assunto sostenuto dalla compagnia controricorrente, le due norme non hanno introdotto nulla di nuovo rispetto al passato. Per convincersene basta riflettere che la legge previgente definiva “danno biologico” soltanto quello “suscettibile di accertamento medico legale” (così il D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, artt. 138 e 139 ma anche il D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13 nonchè, in precedenza, l’abrogato art. 5 della L. 5 marzo 2001, n. 57). E l’espressione “suscettibile di accertamento medico legale” altro non significa che il danno biologico, per potere essere risarcito, deve essere obiettivamente sussistente in corpore, e detta sua sussistenza deve potersi predicare sulla base (non di intuizioni o suggestioni, ma) di una corretta criteriologia medico legale.

Alla luce della loro ratio e delle finalità perseguite dal legislatore, le norme in esame vanno dunque intese in modo uniforme (senza differenze tra l’ipotesi del comma 3 ter e quella del comma 3 quater) nel senso che: la nuova legge esige(va) che il danno alla salute di mcdesta entità sia accertato e valutato dal medico legale (e, poi, dal giudice) secondo criteri di assoluta e rigorosa scientificità, senza che sia possibile in alcun modo fondare l’affermazione dell’esistenza del danno in esame sulle sole dichiarazioni della vittima, ovvero su supposizioni, illazioni, suggestioni, ipotesi.

Le nuove norme, in definitiva, esaltano (ma al tempo stesso gravano di maggiore responsabilità) il ruolo del medico legale, imponendo a quest’ultimo la corretta e rigorosa applicazione di tutti i criteri medico legali di valutazione e stima del danno alla persona.

Pertanto sarà risarcibile anche il danno i cui postumi non siano “visibili”, ovvero non siano suscettibili di accertamenti “strumentali”, a condizione che l’esistenza di essi possa affermarsi sulla base di una ineccepibile e scientificamente inappuntabile criteriologia medico legate.

E nel caso di specie il ctu ha evidenziato di aver acclarato la lesione alla struttura muscolare del rachide (che ha definito “distrazione delle strutture miofasciali del comparto cervico-lombare”), non con i pur eseguiti riscontri strumentali (RX, TAC, RM) di per sè astrattamente idonei ad accertare eventuali lesioni sceletriche, ma con riscontri clinici (visivi).

Pertanto, sul punto la sentenza impugnata va cassata. E il giudice di rinvio, in relazione alla natura della patologia in concreto accertata nel caso di specie, dovrà accertare se l’invalidità permanente, lamentata dalla ricorrente, possa ritenersi o meno comprovata sulla base di criteri oggettivi o se, in concreto, la patologia dedotta sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale. In tale ultimo caso dovrà spiegare le ragioni per le quali intende disattendere le conclusioni alle quali è pervenuto il nominato ctu.

3. Fondato è anche il secondo motivo di ricorso.

3.1. Occorre qui ribadire (Sez. 3 -, Ordinanza n. 7513 del 27/03/2018, Rv. 648303 – 01) che, in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute:

-costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del “danno biologico” e del “danno dinamico-relazionale”, atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale);

-non costituisce duplicazione la congiunta attribuzione del “danno biologico” e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perchè non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione). Ne deriva che, ove sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione.

3.2. A non dissimili conclusioni conduce la lettura della sentenza n. 235/2014 della Corte costituzionale, predicativa della legittimità costituzionale dell’art. 139 codice delle assicurazioni. Si legge, difatti, al punto 10.1 di detta pronuncia, che “la norma denunciata non è chiusa, come paventano i remittenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell’ammontare del danno biologico, secondo la previsione e nei limiti di cui alla disposizione del comma 3 (aumento del 20%)”.

La limitazione ex lege dell’eventuale liquidazione del danno morale viene così motivata dal giudice delle leggi: “In un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata – in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di Garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici – l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi (punto 10.2.2.).

La Corte prosegue, poi, significativamente, sottolineando come “l’introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno – attinente al solo, specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità e coerentemente riferito alle conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza medica in relazione ai primi nove gradi della tabella – lascia comunque spazio al giudice per personalizzare l’importo risarcitorio risultante dall’applicazione delle suddette predisposte tabelle eventualmente maggiorandolo fino a un quinto in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato”.

La motivazione della Consulta non sembra prestarsi ad equivoci.

Il danno biologico da micro permanenti, definito dall’art. 139 CdA come “lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”, può essere “aumentato in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato” secondo la testuale disposizione della norma.

3.3. Di tali principi di diritto non ha fatto buon governo nella impugnata sentenza il Tribunale di Bologna, nella parte in cui affermando testualmente che: “va senz’altro accolto l’appello incidentale di parte appellata anche in punto a restituzione di quanto corrisposto per detto titolo, con ovvio e conseguente rigetto del motivo di appello avente ad oggetto il riconoscimento del danno morale”- ha rigettato l’appello della P., volto ad ottenere il ristoro della sofferenza morale, affermando una interdipendenza necessaria tra risarcibilità del danno morale e sussistenza del danno biologico permanente, in realtà inesistente.

4. Per le ragioni che precedono, accogliendo il primo ed il secondo motivo ed assorbito il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata per quanto di ragione, con rinvio al Tribunale di Bologna, perchè, in diversa composizione, proceda a nuovo esame alla luce dei principi sopra ribaditi.

Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La corte accoglie il primo ed il secondo motivo; e per l’effetto, assorbito il terzo, cassa per quanto di ragione la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Bologna perchè, in diversa composizione, proceda a nuovo esame alla luce dei principi ribaditi nella motivazione che precede.

Demanda al giudice di rinvio la regolamentazione delle spese processuali tra le parti anche in relazione al presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2019

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